Prima dell’anno 1000

Il territorio di Castel Guelfo, compreso fin dall’antichità all’interno di quel comprensorio che in età romana sarà pertinenza del municipio di Claterna e in età medievale del comune di Castel San Pietro, si trova a vivere tutte le manifestazioni storico-culturali che caratterizzano nel tempo questa zona.
Dal Paleolitico (a partire da 900.000 anni fa), caratterizzato da gruppi seminomadi di cacciatori e raccoglitori, si passa al Neolitico (4.500-3.000 a.C.) con le prime forme di economia stanziale basate sull’agricoltura e l’allevamento.

L’Eneolitico (3.000-2.300 a.C.) vede lo sviluppo di un artigianato itinerante specializzato nella lavorazione ed estrazione dei metalli.
Nell’età del Bronzo (2.300-900 a.C.) l’acquisizione di notevoli abilità tecniche favorisce dapprima un forte incremento demografico e un’intensa occupazione del territorio ma porta poi, a lungo andare, ad un eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali e dunque ad una fase di crisi e spopolamento.

Con l’avvento dell’età del Ferro (IX secolo a.C.) si afferma la civiltà etrusca, che dopo aver conosciuto uno sviluppo lungo cinque secoli, decade in seguito alle invasioni celtiche. Si apre così un altro periodo di recessione destinato a perdurare fino all’arrivo dei Romani (III secolo a.C.), quando, scompaginato il pericolo celtico, viene dato nuovo impulso all’occupazione del territorio.

Elemento tipico del popolamento romano in quest’area è lo stanziamento rurale, che, affermatosi contestualmente alla pianificazione centuriale, si conserva attivo ed efficiente per sette secoli di seguito. Benché già a partire dalla fine del II secolo d.C. la crisi dell’economia agricola determini la scomparsa della piccola e media proprietà terriera, le grandi aziende agricole continuano infatti a funzionare fino alla caduta dell’impero.
Dopo il 476 d.C. e per alcuni secoli a venire, la campagna guelfese risulta quasi completamente abbandonata. Il clima di instabilità e insicurezza, creatosi in relazione alle invasioni barbariche, determina infatti una rarefazione nell’occupazione del territorio.

Solo a partire dal VIII secolo d.C. inizia ad affermarsi una tendenza alla concentrazione dell’habitat, che porterà ben presto alla nascita di vari aggregati fortificati di cui la campagna conserva ancora le tracce. Le cosiddette motte infatti non sono altro che rialzi artificiali del terreno residui di antichi insediamenti poco a poco spianati dalle continue arature. Proprio da uno di questi siti deve essersi originato il nucleo principale dell’attuale centro urbano

Dopo l’anno 1000

E’ un caratteristico borgo fortificato della pianura bolognese che ha mantenuto in buona parte la sua struttura acquisita in epoca tardo medievale. Sorse probabilmente nell’XI secolo, anche se le prime notizie documentarie risalgono agli inizi del trecentoNel 1310 fu riedificato per opera dei bolognesi e nel 1395 fu ricostruito nuovamente, per porre rimedio ai danni subiti nelle numerose scorrerie in seguito alle quali erano stati portati via palancato, finestre e coppi.

Tra la fine del Trecento e la metà del Quattrocento Castel Guelfo fu oggetto di particolare attenzione da parte del Comune bolognese. Fu infatti dotato di privilegi ed esenzioni fiscali, per un periodo piuttosto prolungato. La città intendeva in questo modo favorire il popolamento e la messa a coltura di una zona piuttosto ampia, e garantirsi inoltre gli approvvigionamenti necessari per i suoi sempre più numerosi abitanti.
Il controllo della comunità riusciva tuttavia particolarmente difficile e rischioso, a causa della posizione stessa del centro, che si trovava ai confini del territorio bolognese.

Il Pontefice Pio II, decise allora di donare Castel Guelfo in feudo alla famiglia Malvezzi nel 1458, così da garantirsi l’efficiente governo della comunità. A questo periodo risalgono gli importanti lavori alle mura che furono commissionati da Virgilio Malvezzi a Gaspare Nadi, architetto che aveva già lavorato al servizio di Giovanni Bentivoglio, potente signore della città di Bologna a partire dal 1460.

Il castello è di pianta rettangolare, con quattro torrioni agli angoli, ancora piuttosto ben visibili. Era circondato da mura delle quali rimangono alcuni tratti sul fronte principale, sul lato posteriore e sul fronte di sud-ovest. Al castello si accedeva tramite un’unica porta d’ingresso e solo nel corso del XIX secolo fu aperta una seconda porta, sul lato posteriore.
Il castello era circondato da un fossato pieno d’acqua sul quale al mattino si calava il ponte levatoio, che veniva tirato su la sera. Tra il 1420 e il 1425 fu costruito un canale, che passava davanti al fossato, le cui acque provenienti dal Fiume Sillaro, furono sfruttate per alimentare l’attività di un mulino.

Alcuni documenti del XVIII secolo riportano diverse norme che regolavano l’accesso al castello: il custode doveva chiudere la porta del castello ogni sera, dopo l’Ave Maria, e assicurarsi che le chiavi fossero riposte in un luogo sicuro, la porta non poteva essere aperta per nessuna ragione se non per alcuni casi urgenti che richiedevano la presenza del sacerdote, del medico e dell’ostetrica; tutti i forestieri che si presentavano al castello dovevano lasciare in forma scritta il proprio nome, cognome, e la casa dove andavano a prendere alloggio, quando poi questi andavano via, potevano allontanarsi solo se erano accompagnati da un abitante del castello che affermasse di conoscerli o da un membro della famiglia presso la quale era stato ospitato.

Ai nostri occhi di contemporanei tali precauzioni potrebbero sembrare eccessive. Bisogna invece considerare che la sicurezza della vita civile era uno tra gli interessi principali dei governanti locali, in quanto essa doveva garantire soprattutto la stabilità economica della popolazione.
La struttura stessa del castello prevedeva gli elementi tipici del borgo fortificato: i torrioni, di forma circolare erano più alti delle cortine, vale a dire dei muri perimetrali. La parte terminante, in un primo tempo merlata e aperta, venne ricoperta. I vuoti tra i merli furono trasformati in piccole finestre e tutto l’orlo del torrione fu alzato. Questi accorgimenti consentivano una migliore difesa che rendeva possibile anche l’uso delle armi da fuoco, oltre che garantire un minore rischio per la vita dei difensori. All’interno dei torrioni si possono riscontrare tracce di quelli che un tempo dovevano essere dei camminamenti per i soldati, mentre lo spazio che si trovava al piano inferiore della torre serviva per la raccolta delle munizioni.
Al centro del fronte principale si ergeva il cassero, la cui funzione principale era quella di presidiare l’ingresso del castello. Tale elemento costituiva anche un luogo di estremo rifugio nel caso in cui l’aggressione del nemico fosse stata particolarmente efficace. Vi erano infatti ampie sale destinate alla riserva di provviste e munizioni, per il deposito delle armi e per la dimora dei soldati.

Il sistema difensivo prevedeva, inoltre, diverse opere tra le quali ad esempio la realizzazione di uno spalto, ossia un’elevazione artificiale del terreno inclinato verso la campagna per limitare la vista agli aggressori, e quindi la spianata, vale a dire una zona davanti al castello senza case né vegetazione per evitare che gli assedianti avessero modo di ripararsi in qualche modo.
Fu solo in epoche recenti che venne costruita la caratteristica piazza triangolare porticata di accesso al castello e che prese il nome di Borgo.
L’organizzazione dello spazio interno al castello rispecchia la struttura regolare degli antichi castra romani, la cui funzione era collegata principalmente ad esigenze militari. L’abitato è infatti generato dall’incrocio di due strade principali, rispetto alle quali la disposizione delle strade si espande in maniera ordinata e regolare.

Castel Guelfo ebbe fin dalle sue origini un carattere spiccatamente militareDopo averlo riedificato nel 1310, Bologna proibì che gli abitanti vi potessero eleggere il capitano. Questa era invece un prassi usuale presso gli altri castelli del contado, che nominavano autonomamente un ufficiale deputato alla difesa e alla custodia del fortilizio. Nel caso di Castel Guelfo fu il Comune bolognese a provvedere all’invio del capitano che, insieme ad alcuni uomini doveva assumersi l’oneroso incarico della difesa. Egli non poteva allontanarsi dal castello senza uno speciale permesso dell’autorità cittadina e doveva vigilare non solo sull’efficacia e la manutenzione delle opere di difesa ma anche sulla presenza di forestieri, banditi o ribelli presenti nel territorio del castello, doveva controllare inoltre che non venissero portate dentro le case armi pericolose, proibite dalle leggi della città.
Il capitano di Castel Guelfo assunse, col tempo, anche funzioni politiche e giudiziarie, e per un lungo periodo, costituì l’interlocutore privilegiato tra Bologna e gli abitanti del castello.

Nei tormentati decenni della prima metà del secolo XV, spesso Castel Guelfo viene ricordata nei documenti come sede di guarnigioni di soldati sotto il comando di facinorosi capitani di ventura. Ludovico Alidosi, signore di Imola tra il 1399 e il 1424, spesso scriveva al Comune bolognese per far cessare le numerose aggressioni che alcuni soldati, di stanza a Castel Guelfo, portavano contro alcune comunità del contado imolese a lui soggette, con grave danno della popolazione.